In tutto il mondo ci sono solo sei Paesi in cui si può affermare che le donne e gli uomini hanno gli stessi diritti. Si tratta di Francia, Belgio, Danimarca, Lettonia, Lussemburgo e Svezia.
In tutti gli altri Paesi del globo, norme alla mano, le donne partono svantaggiate.
A sottolinearlo ancora una volta è uno studio della Banca Mondiale, il rapporto “Women, business and the law 2019”, che ha dimostrato come a livello mondiale le donne possano vantare solo tre quarti dei diritti che sono invece riservati agli uomini.
In tutto lo studio ha analizzato 187 Paesi, tenendo in considerazione otto diversi indicatori, in base ai quali misurare la parità – o meglio, la disparità – di diritti tra uomini e donne. Raccolti tutti i dati, ai singoli Paesi sono stati assegnati i relativi punteggi, da 0 a 100. A livello mondiale, il punteggio medio è di 74 punti, con i Paesi dell’Africa e del Medio Oriente a presentare i risultati peggiori.
Gli indicatori utilizzati dallo studio sono:
“Going places”, che si riferisce alla libertà di movimento di uomini e donne, indicatore che in Paesi come Iran, Iraq, Arabia Saudita, Brunei e Cameron (e alcuni altri) non ha raggiunto 50 punti;
“Starting a job”, indicatore influenzato grandemente dalla presenza o meno di norme contro le molestie sessuali, presenti in solo 35 Paesi;
“Getting paid”, sulle possibilità di effettuare lavori pagati in tutti gli ambiti;
“Getting Married”, parametro influenzato dalle norme che regolano il matrimonio nonché dalle leggi che puniscono le violenze domestiche;
“Having Children”, relativo alla presenza di norme che tutelano il lavoro dopo la gravidanza;
“Running business”, che si concentra sulle reali opportunità di una donna di gestire un’attività in proprio, a partire dall’accesso ai finanziamenti; “Managing Assets”, relativo al diritto di proprietà e di ereditarietà;
“Getting a Pension”, ultimo indicatore che confronta le condizioni pensionistiche di donne e uomini.
Commentando i risultati finali del rapporto, la presidente della Banca Mondiale Kristalina Georgieva ha sottolineato che «se le donne avessero pari opportunità rispetto agli uomini per raggiungere il loro pieno potenziale, il mondo sarebbe non solo più giusto ma anche più prospero».
Ma com’è la situazione in Italia?
Stando al rapporto della Banca Mondiale, l’Italia presenta un punteggio che – se raffrontato alla media globale – è mediamente alto: il nostro Paese ha infatti raggiunto 94,38 punti, guadagnando il 22° posto, restando comunque tra i peggiori a livello europeo.
A pesare è soprattutto la differenza di stipendio tra uomini e donne, un gender gap che, nelle regioni settentrionali, si esplicita con una differenza fino a 880 euro.
«Le indagini degli ultimi anni hanno dimostrato che il gender pay gap complessivo in Italia è indubbiamente molto marcato» spiega Carola Adami, amministratore delegato della società di head hunting Adami & Associati «con gli ultimi dati Eurostat a confermare che la differenza salariale complessiva si conferma oltre il 43,%, una percentuale altissima, risultante da una presenza minima delle donne nelle posizioni di impiego con stipendi più alti».
Non è dunque un caso se, nella classifica del World Economic Forum, l’Italia si piazza al 126esimo posto per quanto riguarda la differenza salariale.
«Sono indubbiamente tanti i fattori che frenano le donne sul mercato del lavoro, a partire, per esempio, dal diverso congedo dal lavoro per madre e padre: il primo dura 5 mesi, il secondo 5 giorni, danneggiando inevitabilmente le prospettive di assunzione per le donne. Non è tutto qui: i datori di lavoro tendono ovviamente a premiare il lavoro fatto, finendo per incentivare gli uomini, i quali, dedicandosi mediamente meno a casa e famiglia, hanno una maggiore presenza fisica sul luogo di lavoro» » conclude l’head hunter Adami.